CAGLIARI: NULLO IL MUTUO CHE NON DICHIARA L’ISC

il mutuo è nullo se nel contratto non viene indicato l’Indicatore Sintetico di Costo (ISC). È quanto ha stabilito il Tribunale di Cagliari (ordinanza n.5295-29/03/2016)
Si tratta di una procedura fallimentare di una società cagliaritana operante nel settore dell’edilizia. La banca ha chiesto al Giudice di potersi insinuare nel procedimento a fronte di crediti vantati verso la società, derivanti da un contratto di mutuo fondiario stipulato tra le parti in data 28 aprile 2006 e da uno scoperto di conto corrente, per il quale aveva emesso anche un decreto ingiuntivo.

Relativamente al mutuo in questione, però, il curatore fallimentare del cliente ha eccepito in giudizio irregolarità riguardanti sia la mancanza del documento di sintesi allegato che per la mancata indicazione dell’ISC o TAEG all’interno del contratto stesso.

Infatti il mutuo, essendo stato stipulato dopo la Delibera del CICR del 4 marzo 2003, avrebbe dovuto rispettare l’obbligo introdotto da tale delibera (e dalle successive disposizioni attuative di Banca d’Italia) di riportare l’ISC, un numero percentuale che racchiude in sé tutti gli interessi ed oneri connessi all’operazione.

L’ISC è l’unico valore che permette al cliente di essere perfettamente consapevole del costo complessivo del finanziamento, permettendogli anche un eventuale confronto con altre offerte presenti sul mercato.

Tale omissione, rappresentando non solo un inadempimento degli obblighi informativi e di pubblicità sulle condizioni economiche del credito da parte della banca, ma specialmente una violazione del contenuto principale del contratto stesso, che garantisce al cliente la comprensione di un dato fondamentale, ha significato per il Giudice la nullità del mutuo.

Non è stata ritenuta sufficiente nemmeno l’indicazione dei singoli elementi che concorrono a formare l’ISC, in quanto si tratta di un’elaborazione matematica che compete all’istituto finanziatore poiché nel suo calcolo viene considerato sia il tasso di interesse effettivo che tutte le spese accessorie del finanziamento. Il cliente, autonomamente, non può essere in grado di svilupparlo.

Nemmeno si può sostenere che l’ISC non sia quantificabile sino all’effettiva erogazione del credito, perché se nell’atto di mutuo è presente l’importo finanziato, l’ISC già in quella sede può e deve essere determinato in relazione alla somma pattuita.

Nei finanziamenti stipulati a partire dal 1 ottobre 2003 l’ISC (o TAEG) è un valore che deve necessariamente essere segnalato dalla banca, a pena di nullità del contratto stesso.

Una mancata, o non puntuale indicazione dell’ISC alla data di stipula di un finanziamento può portare anche alla restituzione da parte della banca di tutti gli interessi ultra-legali indebitamente corrisposti.
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Pescara. Banca deve risarcire imprenditore di oltre mezzo milione, ma la società ormai è fallita

Il tribunale civile di Pescara con sentenza 478016 pubblicata il 29 marzo 2016 ha condannato una banca al pagamento di una consistente somma di denaro a una società che nel frattempo è fallita.

L’istituto di credito è tenuto a restituire a un ex imprenditore di Pescara la somma complessiva per sorte capitale e spese di oltre 540mila euro.

Il giudice di Pescara ha rilevato l’illecita applicazione da parte della banca di interessi ultralegali, della capitalizzazione trimestrale degli interessi (cosiddetto anatocismo), oltre all’illegittima applicazione delle commissioni di massimo scoperto e di tutti gli altri oneri e interessi mai validamente pattuiti tra la banca e il cliente.

I benefici sono comunque destinati alla curatela fallimentare perché nel 2015 l’azienda è fallita e si sarebbe salvata se avesse potuto disporre di tale somma.

Il contenzioso, avviato nel 2012, verteva sul rapporto di conto corrente estinto in precedenza, e ha visto la nomina di un consulente tecnico del tribunale di Pescara, il quale ha effettuato tutti i conteggi relativi ai rapporti di conto corrente ripassati tra le parti e alle cui risultanze il giudice ha poi fatto riferimento per determinare le somme da riconoscere all’impresa correntista.

La società pescarese era stata dichiarata fallita nel 2015 e la curatela si era attivata per proseguire il giudizio nei confronti della banca. Si conferma così un orientamento giurisprudenziale sempre più consolidato del tribunale di Pescara, ma anche in tutta Italia e che spesso comporta per diversi utenti bancari il passaggio da una posizione fortemente debitoria nei confronti delle banche a quella di creditori, oppure, come in questo caso, rivela un’azienda sana dopo il suo fallimento.

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